SEMI, ZOLLE e BIODIVERSITA’

Quando si decide di mettere radici e di occupare, acquistare, condividere, affittare un terreno e
iniziare a coltivare, si costruiscono reti di solidarietà, si tessono trame fino a intrecciarle e renderle
sempre più fitte tra metropoli e campagne, si gettano semi di resistenza.
Questa e’ una delle tante analisi dalla quale si puo’ iniziare a parlare di semi, abbiamo deciso di farlo
in questo modo, perchè è il nostro modo; quello della condivisione. Condividere le conoscenze ed il
sapere ci permette di resistere, di non essere monopolizzati e far si che ognuno di noi sia un insieme
di quelle diversità e quindi di tutti quei saperi.
Biodiversità!
Allo stesso modo le specie vegetali presenti oggi sul pianeta sono il risultato di un’evoluzione continua
che dura da milioni di anni. Le piante si evolvono in base al proprio ambiente per non morire. Ogni
pianta originaria di un luogo si è adattata a vivere in quel luogo. Questo ha reso possibile numerose
mutazioni ed endemismi che in alcuni casi hanno dell’incredibile. Un patrimonio genetico
inestimabile, che garantisce la loro sopravvivenza.
Questa e’ biodiversità!
Dobbiamo garantire il normale ciclo vitale di ogni essere vivente, dobbiamo custodire o meglio essere
guardiani dell’ ecosistema tutto, cosi come l’ecosistema garantisce la nostra sopravvivenza.
Il nostro modo di farlo è il nostro modo di vivere, salvaguardare la biodiversità e’ il risultato
delle nostre scelte. Se il mercato ha sottomesso l’agricoltura e l’ha resa una variabile dell’economia, se
i giganti dell’agricoltura industriale, pochi, davvero molto pochi, si dividono il monopolio delle
sementi, dei pesticidi, dei concimi di sintesi, se questo è quello che Expo 2015 mostrerà come
“Nutrire il pianeta”, noi vogliamo dire che il pianeta si nutre da solo, e si nutre bene se conserva vivi i
semi e il suolo.
Vorremmo aprire una discussione sulla terra, intesa anche come terriccio, come suolo marrone e
vivo, il nostro soffice humus, e vorremmo mettere al centro della discussione la terra, “glebs” la zolla,
proprio quella che nei nostri orti è brulicante di lombrichi, e vorremmo farlo partendo dai semi.

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ESISTE un numero imprecisato di persone che praticano un’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta; un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia, ma irrinunciabile per mantenere fertile e curata la terra (soprattutto in montagna e nelle zone economicamente marginali), per mantenere ricca la diversità di paesaggi, piante e animali, per mantenere vivi i saperi, le tecniche e i prodotti locali, per mantenere popolate le campagne e la montagna.
Per quest’agricoltura che rischia di scomparire sotto il peso delle documentazioni imposte per lavorare e di regole tributarie, sanitarie e igieniche gravose, per ottenere un riconoscimento che la distingua dall’agricoltura imprenditoriale e industriale, per ottenere la rimozione degli ostacoli burocratici e dei pesi fiscali che ostacolano il lavoro dei contadini e la loro permanenza sulla terra,

Il momento di agire

Mentre dice No, la resistenza deve costruire il mondo nuovo: quelli che stanno in alto distruggono, noi, in basso, costruiamo.

di Gustavo Esteva

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Per prima cosa hanno misurato la profondità e l’estensione dell’orrore che in questo tempo ci circonda, poi hanno condiviso il dolore. Saranno i prossimi mesi a rivelarci tutta l’importanza dell’incontro di condivisione che si è tenuto in agosto tra il Congresso Nazionale Indigeno e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. La Condivisione è un’esperienza di lotta, dove si è visto come il dolore possa diventare rabbia e poi determinazione ad agire e dunque, in una sequenza oggi assai più evidente, ribellione come esercizio di libertà. La speranza, hanno sottolineato a La Realidad, siamo noi. E noi abbiamo dei compiti: il primo, il più urgente e importante, è saper ascoltare quel che i popoli hanno da dire e fare loro da cassa di risonanza. Per ascoltare bisogna però essere disposti a trasformare, l’ascolto deve farsi azione, e a trasformarsi. Mentre dice No, la resistenza deve costruire il mondo nuovo: quelli che stanno in alto distruggono, noi, in basso, costruiamo.

Abbiamo bisogno di tempo, distanza e prospettiva per soppesare la portata della Condivisione del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e le loro dichiarazioni. Tuttavia, alcune cose, sono parse chiare sin da subito.

É stato possibile, prima di tutto, provare l’enormità, la profondità, e l’estensione dell’ orrore attuale. Le forme e le modalità della rapina che i popoli hanno condiviso uno dopo l’altro, con tutti i loro morti e desaparecidos (scomparsi), hanno costituito una collezione efficace di specchi nella quale tutte e tutti ci siamo potuti vedere riflessi e ai quali abbiamo cominciato ad aggiungere i nostri frammenti. È stato un rosario interminabile di disgrazie, aggressioni, rapina e devastazione, ma anche un racconto impressionante di lotte e resistenze, nella quale i popoli indios, come guardiani della Madre Terra quali sono e sempre sono stati, appaiono il primo fronte di battaglia della guerra che attualmente si sta scatenando contro i popoli indigeni e non indigeni.

Nella Condivisione è stata mostrata ed è stata totalmente esplicitata una sequenza di trasformazioni che può costituire una guida pratica per coloro che si preparano a prendervi parte.

clausura2È stato possibile osservare come il dolore si converta in rabbia e come, a sua volta, questa si trasformi nella determinazione di agire. Questa decisione, a sua volta, si manifesta come ribellione e questa si rivela esercizio di libertà. La sequenza dolore-rabbia-determinazione-ribellione-libertá era presente nel discorso e nella pratica degli zapatisti e dei popoli indios da molto tempo. Ma ora si è resa più evidente ed esplicita.

La speranza, lo sappiamo, è l’essenza dei movimenti popolari. La Condivisione ha sottolineato, senza lasciare dubbi, che la speranza siamo noi stessi.

La Condivisione ci ha lasciato molti compiti. Coloro che si stavano chiedendo che fare davanti all’orrore, come dirigere l’impegno nel senso di cui c’è bisogno, possono trovare nelle dichiarazioni suggerimenti di azione che sono rimedio efficace contro le apatie, le frustrazioni e le disperazioni.

Il primo compito, quello più urgente e importante, è ascoltare. Ascoltare significa prima di tutto udire attentamente ciò che i popoli hanno da dire e moltiplicare le casse di risonanza affinché ciò che dicono si possa sentire ovunque, strappando il velo offuscante dei media. Si tratta di casse di risonanza che utilizzino tecnologie contemporanee che facilitino la loro diffusione, ma che non si limitino solo ad esse. Saranno pure formate dal più antico e comune strumento di trasmissione, la diffusione di bocca in bocca, e le sue espressioni collettive su piccola scala, come gli altoparlanti dei villaggi, i megafoni, le grida e altri mezzi primari di diffusione delle informazioni. Perchè si tratta di diffusione: la diffusione delle lotte popolari.

Udire, tuttavia, non è che il primo passo. Ascoltare, in un dialogo autentico, implica il fatto di essere disposto a trasformare e trasformarsi in funzione di ciò che si ascolta. Non si tratta di far entrare da un’orecchia e fare uscire dall’altra ciò che si ascolta e non basta che tocchi nel profondo. Deve fuoriuscire nuovamente trasformata in azione, che sarà stata rinnovata grazie all’altro, all’altra.

Organizzarsi per la resistenza è un compito permanente. Bisogna farlo continuamente, sapendo che l’unica resistenza efficace è quella che non solo si oppone e dice “No”, ma allo stesso tempo costruisce qualcosa di nuovo. Come è stato detto nella Condivisione: mentre coloro che stanno in alto distruggono, noi che stiamo in basso costruiamo.

MGTL’organizzazione della resistenza ha da questo momento un segno specifico: si tratta di organizzarci per condividere. Sia indigeni che non indigeni, dovremo essere presenti nella sede del Festival di Dicembre che ci sarà più vicina. E non si tratta di andare lì in maniera improvvisata e per far chiacchiere. Come abbiamo imparato dalla Escuelita, la condivisione di un’esperienza di lotta richiede di prepararsi con disciplina e immaginazione.

Abbiamo pure bisogno di prepararci per plasmare l’animo alla predisposizione che permetta di affermare sino in fondo, senza riserve, che la lotta dei popoli indigeni deve essere oggi, ancora una volta, il collante che ci permetta di coalizzarci per impedire che continui la distruzione devastatrice della natura, del tessuto sociale e per costruire qualcosa di nuovo. Duecento anni fa, così come un secolo fa e in diverse condizioni critiche, a unirci non furono un leader, un partito, o un documento. Fu l’azione. E non fu l’azione di un illuminato, di una setta o di un gruppo, bensì l’azione dei popoli. È una lezione della storia che abbiamo rinnegato più volte. L’abbiamo tradita ripetutamente e abbiamo dovuto pagare un carissimo prezzo per averla dimenticata. É arrivato il momento di farla valere, di convertirla nuovamente nel senso e nel contenuto delle larghissime coalizioni di cui oggi abbiamo bisogno.

Fonte: la Jornada.

Titolo originale: Punto de flexión

Traduzione per Comune-info: a cura di Camminar Domandando.

Gustavo Esteva vive a Oaxaca, in Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi mesi, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-info.

Tutti gli altri articoli di Gustavo Esteva usciti su Comune-info sono qui

Un piccolo nucleo di amici italiani di Esteva, autodenominatosi “camminar domandando”, nei mesi scorsi ha stampato il testo della conversazione tenuta da Esteva a Bologna nell’aprile 2012 (i temi in parte sono gli stessi degli incontri tenutisi nell’occasione a Lucca, in Val di Susa, Torino, Milano, Venezia, Padova, Firenze e Roma): “Crisi sociale e alternative dal basso. Difesa del territorio, beni comuni, convivialità”. (chi vuole, può scaricarlo su www.camminardomandando.wordpress.com).